Donne e lavoro: un grande divario tra risultati
scolastici e pratica lavorativa
di Patrizia Mattioli
(presentazione
in power point)
Prima di iniziare voglio dire due parole su un
momento che ha riguardato le donne nella storia
della psicologia.
In aree come quelle della psicoterapia, la presenza
femminile è stata sempre piuttosto alta, nonostante
ciò la psicologia non ha aiutato inizialmente la
condizione delle donne. Alcune teorie psicologiche
hanno addirittura contribuito a penalizzarla come la
psicoanalisi per esempio, che è stata la prima
dottrina e forma di psicoterapia.
Il suo fondatore Sigmund Freud, aveva messo su una
teoria fortemente invalidante per le donne
giustificata secondo lui, dall’esistenza di una
oggettiva inferiorità organica femminile.. Non entro
ora troppo nei dettagli della teoria dirò solo che
secondo Freud la diversa conformazione fisica
(facciamo riferimento alla diversità degli organi
sessuali) provocava sentimenti di inferiorità delle
bambine nei confronti delle figure maschili, e di
disprezzo dei maschi verso le femmine. A questi
sentimenti di inferiorità si aggiungeva una forte
invidia per le caratteristiche fisiche maschili,
invidia che poteva trovare un’appagamento solo
attraverso la maternità.
Questa ipotesi che all’epoca pretendeva di dare una
spiegazione sulle caratteristiche psicologiche della
femminilità, facendola derivare da un modello
maschile, suscitò molte polemiche già all’interno
del mondo accademico da parte delle prime
psicoanaliste, che misero fortemente in dubbio
l’effettiva neutralità del sapere psicoanalitico.
Molti aspetti della teoria di Freud si sono poi
dimostrati infondati possiamo dire che la sua è
stata una versione leggermente razionalizzata dei
pregiudizi patriarcali del suo tempo dovuta anche
alle difficoltà personali che egli aveva con le
donne.
Nello stesso tempo, anche se involontariamente,
Freud favorì le aspirazioni delle donne che volevano
diventare psicoanaliste, infatti nel 1910 quando
alla Società Psicoanalitica di Vienna si pose il
problema dell’ammissione o meno delle donne, egli si
dichiarò favorevole, e fù uno dei pochi a farlo. Era
convinto che le donne potessero essere più brave dei
colleghi maschi a scavare nei primi anni di vita di
un paziente e gestire meglio di loro i processi di
transfert. Sembrava un riconoscimento da parte di
Freud, in realtà era l’espressione del suo sottile
pregiudizio antifemminista: egli riconosceva che
un’analista era brava nel ruolo a cui la biologia
l’aveva destinata.
Oggi la psicologia e soprattutto la psicoterapia
sono tra i settori in cui la donna è maggiormente
presente anche se è ancora difficile trovare donne
alla dirigenza delle diverse aree del mondo
accademiche, questo è in linea con i dati delle
numerose ricerche sul rapporto tra donne e lavoro
dalle quali emerge che:
- le donne si laureano più degli uomini ma lavorano meno di loro;
- quelle che lavorano vengono pagate meno dei colleghi uomini;
- quelle che lavorano raggiungono più raramente posizioni di
potere.
Da una parte possiamo dire che l’attuale
posizione professionale femminile rappresenta
un’evoluzione nella condizione lavorativa della
donna dal momento che fino a pochi anni fa si
discuteva sul diritto delle donne al lavoro, mentre
oggi si discute sul diritto delle donne a posizioni
di potere. D’altra parte ci dobbiamo domandare se
l’atteggiamento nei confronti del lavoro femminile è
sufficientemente cambiato e ci si pone il problema
di spiegare uno stato di cose che sembra rimandare
comunque un’immagine di donna penalizzata, non
riconosciuta dal mondo del lavoro.
Viene naturale attribuire il fenomeno ai
tradizionali pregiudizi maschili e al mondo
professionale tendenzialmente maschilista.
Non possiamo negare che ci siano fenomeni
discriminatori verso il lavoro femminile, che però
da soli non sono sufficienti a spiegare l’enorme
divario che poi notiamo, ed è meglio vedere le cose
come il risultato di una reciprocità tra
atteggiamenti maschili e femminili. Reciprocità in
cui le donne evidentemente contribuiscono a
mantenere il quadro.
Quali atteggiamenti femminili allora, colludono con
le attuali condizioni di lavoro?
A livello individuale ovviamente gli aspetti possono
essere i più diversi, sul piano generale però io
vorrei parlare soprattutto di due:
da una parte la tendenza femminile ad aderire ad un
punto di vista esterno, dall’altra il dover fare i
conti con i propri sentimenti.
Non è una novità il fatto che le donne che lavorano
hanno sempre l’impressione di dover dimostrare
qualcosa: di saper fare, di essere in grado di
tenere il ritmo e il livello di lavoro. A parità di
condizioni la donna fatica il doppio per guadagnarsi
la fiducia e il riconoscimento con il senso spesso
di non aver fatto abbastanza, l’uomo lo dà più per
scontato. Naturalmente non sempre è così e possiamo
trovare la donna più sicura e determinata e l’uomo
che si sente insicuro e incapace ma sui grandi
numeri sappiamo che le tendenze sono quelle che ho
detto. Atteggiamenti di questo tipo chiamano in
causa il senso di autostima, il sentirsi o non
sentirsi all’altezza della situazione, i sentimenti
di inferiorità e inadeguatezza professionale (a
volte lo sappiamo, non solo sul lavoro). E’
comprensibile che un simile stato di cose favorisca
un minor desiderio di esposizione delle donne, una
minore volontà di mettersi in ballo a vari livelli.
Ma andiamo oltre, facciamo ipotesi sull’origine di
questa vissuta insicurezza?
Anche qui non voglio entrare nel discorso
individuale, ma fare un discorso più generale: dire
che le donne si sentono insicure o inadeguate a
causa degli uomini sembra un atteggiamento
piuttosto riduttivo che non tiene conto della
complessità e specificità femminile e della
reciprocità come dicevo, che si è stabilita nel
corso del tempo tra i due sessi.
Senza entrare nel merito dell’educazione ricevuta,
né dei condizionamenti culturali e sociali, voglio
porre l’accento sul mondo lavorativo in cui si sono
trovate e si trovano a barcamenarsi le donne. Un
mondo improntato sulla competitività, sul valore
dato ai numeri e alla produttività, alla potenza
fisica, sulla considerazione del lavoro come asse
centrale dell’identità personale, sulla rinuncia al
proprio tempo e spazio.
Sono aspetti in cui generalmente il femminile si
rispecchia meno. Ciò nonostante, le donne si sono
adeguate alle modalità esistenti, trovandosi a
competere su fronti che non gli appartenevano e non
gli appartengono.
Senza rendersene conto dunque le donne hanno
accettato di vedere il mondo al maschile di aderire
ad un punto di vista esterno come dicevo, portando
ancora pochi sostanziali cambiamenti nel mondo del
lavoro, diventando a volte la brutta copia degli
uomini, i sentimenti di insicurezza sembrano
coerenti con questo scenario.
P otremmo
dire che non si poteva fare altrimenti, che per
cambiare le regole le donne se ne dovevano, se ne
debbano impossessare entrando nel sistema per
cambiarlo da dentro, ma ormai abbiamo capito che non
si tratta solo di cambiare le regole ma anche anzi
soprattutto di integrare le modalità maschili con
quelle femminili, entrambe importanti, per favorire
quello sviluppo sul piano lavorativo e sociale ormai
necessario nella nostra società.
Le condizioni di lavoro ci portano al secondo punto
della nostra analisi, la necessità per le donne di
fare i conti con i propri sentimenti.
Il lavoro in generale e in maggior misura il lavoro
a livelli dirigenziali richiedono una certa
disponibilità di tempo e inevitabilmente
significano restringere lo spazio di altre aree
della vita, fare molte rinunce sul piano umano,
affettivo, relazionale questo è un aspetto più
evidente per una donna quando si trova a vivere la
maternità. Molte donne decidono di lasciare o
sospendere il lavoro o di rifiutare la possibilità
di un avanzamento di carriera proprio in
concomitanza con la nascita dei figli, e non mi
riferisco solo alle donne che si trovano da sole a
far quadrare l’impegno familiare con quello
lavorativo ma anche alle donne che godono di tutti
gli aiuti e i sostegni necessari che ad un certo
punto si trovano ad un bivio. Di fronte alla scelta
tra lavoro e affetti molte donne scelgono gli
affetti, non avendo dubbi su quale sia la priorità
per loro in quel momento. Spiegare il fenomeno come
la semplice mancanza di servizi a sostegno del
lavoro femminile è secondo me un modo molto
concreto, direi maschile, di vedere le cose. Quello
di cui dobbiamo renderci conto è che le donne
vogliono mantenere questo ruolo, ed è il mondo del
lavoro che si deve adeguare, perché questa
predisposizione femminile ha un importante valore
sul piano evolutivo.
John Bowlby, psicoanalista inglese del ventesimo
secolo, teorico dell’attaccamento ci aiuta a capire.
Egli ci spiega l’importanza per un neonato di avere
una figura di accudimento stabile che stimoli il
sistema dell’attaccamento. Ci dice anche però che al
bisogno di attaccamento del bambino corrisponde un
bisogno di accudimento della madre. Il sistema di
accudimento è reciproco a quello dell’attaccamento.
Il suo scopo è la cura del bambino ed è attivato da
segnali di richiesta di conforto e protezione emessi
dal piccolo, o dalla percezione della sua fragilità.
Le emozioni che accompagnano l’attivazione del
sistema vanno dall’ansiosa sollecitudine, alla
compassione, alla tenerezza protettiva fino alla
colpa per il mancato accudimento. Avere un figlio
significa ed è il risultato dell’attivarsi del
sistema dell’accudimento. A volte una donna se ne
rende conto solo nel momento in cui diventa madre.
Possiamo comprendere, se non l’abbiamo vissuto
personalemente, che sia molto difficile per una
mamma, rinunciare ad occuparsi dei figli al di là di
qualsiasi aspettativa e pregiudizio esterno. Magari
è più facile evitare: alcune donne per non dover
scegliere decidono di non fare figli o di averne uno
piuttosto che due o tre e questa è una grave perdita
sia per se stesse che per la società.
Tornando dunque al tema iniziale sul divario tra
livello culturale raggiunto e ruoli di potere
femminili, da quanto detto possiamo sicuramente
trarre una conclusione: le attuali condizioni
lavorative sono molto poco attraenti per le donne.
Qualsiasi soluzione deve prevedere condizioni
alternative, valide dal punto di vista femminile e
alla fine utili alla società.
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